Introduzione 

Questo progetto di analisi ipermediale nasce dalla convinzione che la riflessione sul cinema trova, esprimendosi, un limite "fisico" nella necessità di utilizzare la parola, scritta ma anche parlata.
Una critica d'arte senza illustrazioni fotografiche delle opere o una critica musicale senza la possibilità di citare almeno alcuni brani di spartiti risulterebbero fortemente indebolite nelle loro possibilità comunicative. Ma anche così, nella costruzione pur sempre lineare del loro discorso — una cosa dopo o accanto all'altra —, siamo ancora lontani dalla possibilità di trascrivere adeguatamente la complessità reticolare del pensiero sulle opere d'arte, o se è per questo di qualsiasi pensiero. La critica letteraria già si trova più a proprio agio perché utilizza uno strumento espressivo omologo all'oggetto del proprio discorso. Quella cinematografica, all'opposto, subisce un disagio massimo, di cui non sembra rendersi conto.
Noi studiosi di cinema abbiamo elaborato un modo di scrivere e di parlare che evoca il proprio oggetto con più o meno abilità allusiva, riuscendo nel migliore dei casi, attraverso lo stile della scrittura, a rendere adeguatamente conto delle riflessioni soggettive del critico. Ma quanti sono gli "scriventi di cinema" che possano definirsi saggisti nel pieno senso della parola, che possano — come certi illustri colleghi letterari o anche di altri campi del sapere — ambire, per la qualità della loro scrittura, ad essere inclusi in una storia della letteratura? Al di là di questo possibile esito del lavoro — il critico come artista — la più umile ma fondamentale attività di analisi oggettiva di un'opera d'arte trova nella parola scritta o parlata un impedimento più che un aiuto. Si è rimediato aggiungendo foto di scena al testo scritto, con una funzione di solito banalmente decorativa, di nessun aiuto pratico e anzi fuorviante, dato che una foto di scena è un simulacro distorto del film (assai più utili sono le foto di lavorazione, difficili da reperire e scarsamente utilizzate per le preziose informazioni che contengono). Si è passati di recente — con qualche egregio precedente nel passato — all'utilizzazione di fotogrammi: ed è già un bel passo avanti. Ma siamo pur sempre non solo all'immagine statica (che per un certo tipo di discorso — sulla composizione dell'inquadratura, p. es. — può anche essere indispensabile) ma a un discorso comunque limitato dalla sua linearità.
Oggi il computer offre finalmente la possibilità di affrontare l'analisi critica con uno strumento espressivo omologo: parlare di immagini in movimento e di suoni con immagini in movimento e con suoni, ma anche con parole scritte o dette, con grafici, e altro ancora; e soprattutto con la possibilità di interrelare gli elementi dell'analisi fra di loro (qualcosa che con la parola scritta si limita a delle note a pie' di pagina o a un indice, più o meno "ragionato", dei nomi, dei titoli o casomai anche degli argomenti) nonché con quella di correlare, tramite la Rete, ciò che andiamo dicendo con ciò che altri hanno detto.
Su questo terreno è stato fatto sinora, per quanto ne sappiamo, assai poco: ed è strano. Perché si tratta, per così dire, dell'uovo di Colombo; perché in altri campi, se non altro come strumento didattico, il computer è largamente impiegato; perché le analisi ipermediali potrebbero diventare un prezioso complemento nei DVD; perché una nuova generazione di studiosi di cinema, che dovrebbe avere più familiarità di noi col nuovo strumento, con questo nuovo linguaggio, dovrebbe trovare naturale cimentarvisi per la trascrizione del pensiero critico, che inevitabilmente — poiché la materia dell'espressione non può non trasformare il pensiero — diventerebbe nuovo pensiero.
A mia conoscenza, troppo pochi sono, a livello internazionale, i tentativi in tale direzione. Conosco l'attività promossa da Yuri Tsivian nel sito CineMetrics (dove si può trovare una parte della nostra analisi, limitatamente agli elementi da loro presi in considerazione): che ha il limite, dichiarato, di circoscriversi solo ad alcuni elementi del film, prolungando in questo l'analisi statistica introdotta da Barry Salt (misurazione della ASL, average shot length, o durata media delle inquadrature, dei movimenti di macchina e della scala dei piani) nei suoi fondamentali Film Style and Technology: History and Analysis, Starword, London, 1992 (seconda edizione), e Moving Into Pictures: More on Film History, Style, and Analysis, Starword, London, 2006. Si tratta di due volumi riccamente illustrati che estendono il discorso a una storia della tecnologia, unica nel suo genere, collegata a quella dello stile, nonché a preziosi esempi di analisi, che hanno non poco influenzato, p. es., i lavori di David Bordwell. Ho potuto vedere a Il Cinema Ritrovato di Bologna 2008, le proposte di Hyperkino, un gruppo moscovita, per l'"annotazione" dei testi filmici, e l'ho incontrato assieme al gruppo viennese di Digital Formalism (i cui lavori su L'uomo con la macchina da presa di Dziga Vertov sono nel sito di CineMetrics), facendo vedere a loro e a Tsivian un "demo" della nostra analisi (e in occasione delle Giornate del Cinema Muto di Pordenone l'ho fatto vedere anche a Barry Salt). So delle proposte di Lignes de temps promosse dall'IRI (Institut de Recherche et d'Innovation) al Centre Georges Pompidou di Parigi. Ho visto l'applicazione a Vertigo di Alfred Hitchcock delle concept maps da parte di un gruppo di informatici madrileni "cinefili". Thomas Elsaesser mi ha parlato di analisi al computer di film fatte con i suoi studenti, e ho visto quelle egregie realizzate da Amedeo Fago con i suoi studenti di architettura a Valle Giulia a Roma, centrate sulle locations dei film ma non solo. E non dimentico i lavori pionieristici del romano Istituto MetaCultura, in particolare su Roberto Rossellini, che hanno costituito lo stimolo iniziale per avventurarmi in questo campo, assai ostico data la mia formazione (è come imparare una lingua straniera). Qualcosa si muove, insomma.
La nostra proposta — che ha preso lo spunto dalla (per me) insoddisfacente analisi orale di Zangiku Monogatari, supportata da un (ostico) testo scritto distribuito fra i presenti, in occasione dell'eccellente convegno Lo sguardo dei maestri di Udine su Mizoguchi Kenji curato da Dario Tomasi nel febbraio 2008 — intende inserirsi in questa direzione di ricerche sull'impiego di uno strumento ipermediale come il computer, in particolare per l'analisi dei testi filmici (che, fra l'altro, dovrebbe rendere irrimediabilmente datati i tanti libri di analisi di specifici film così in voga in appoggio alla didattica universitaria). Ho proposto al curatore e all'organizzazione del convegno, per la pubblicazione degli Atti, di includere, per quanto mi riguarda, non un testo scritto ma una breve introduzione a questo sito web.
Questa proposta va giudicata per quello che vuole essere: un esperimento. E il preludio a successive analisi che tengano conto sia della nostra esperienza sia di quella altrui per miglioramenti a livello tanto informatico quanto concettuale. In particolare, si può discutere su quanto un'analisi che si vuole soprattutto descrittiva, o oggettiva, possa contribuire all'arricchimento di una elaborazione soggettiva del discorso critico, e di come sviluppare quest'ultimo pur sempre con strumenti ipermediali. Diciamo che ne dovrebbe essere alla base, sottraendo così tale indispensabile discorso all'impressionismo, se non alla fallace memoria, che lo minacciano.
Una premessa necessaria: data la destinazione pubblica del sito che contiene la nostra analisi, non ce la siamo sentiti di "citare" l'intero film, come sarebbe stato auspicabile, ma solo un ampio numero di fotogrammi e qualche brano per esteso (laddove la descrizione schematica rischiava di non rendere sufficientemente conto della complessità delle immagini, in particolare per quanto riguarda i movimenti di macchina). Ciò costituisce indubbiamente un limite della nostra proposta. Ci scontriamo qui col problema generale degli aventi diritto, che riguarda chiunque voglia affrontare l'analisi ipermediale di un film, sia pure con intenti prevalentemente educational. È questa una difficoltà che andrà affrontata e risolta.
L'analisi è strutturata sostanzialmente in due parti: una descrizione "scientifica" del film, inquadratura per inquadratura, in forma sia estesa (Analisi) sia sintetica (Indici), nella quale è possibile correlare i vari elementi e interrelarli, e da cui si possono dedurre alcuni dati di quella che abbiamo chiamato "stilometria"; e alcuni "commenti" (considerazioni sulla messa in scena), dedotti dall'analisi, e nei quali è possibile linkare ciò che viene detto non solo con le inquadrature citate o con altri elementi contenuti nel testo, interrelandoli fra di loro, ma anche con siti della Rete (verificati per la loro attendibilità). Quest'ultimo procedimento si è rivelato particolarmente utile data la natura del film, che fa riferimento a personaggi realmente vissuti e a un contesto storico, quello del teatro kabuki del periodo Meiji, sul quale il lettore occidentale ha presumibilmente scarse informazioni. A questo scopo abbiamo ritenuto utile aggiungere un glossario, che chiarisce molti termini giapponesi intraducibili contenuti nel testo e che a sua volta rimanda a vari siti della Rete. Inoltre, poiché, tra i film di Mizoguchi, Zangiku Monogatari in particolare ha usufruito di un'ampia e notevole letteratura critica, a cui abbiamo attinto per diverse nostre osservazioni, ci è sembrato utile includere una bibliografia con riproduzione di molti testi, ai quali è possibile accedere sia autonomamente, per ulteriori approfondimenti, sia con link contenuti nel nostro testo; in sostanza, non ci è sembrato necessario rielaborare a nostra volta cose già dette bene da altri, alleggerendo così le nostre osservazioni.
Non sarebbe stato possibile approfondire l'analisi del film se non avessimo usufruito della collaborazione di studiosi giapponesi che ci hanno permesso di precisare alcuni dettagli del contesto storico, dei titoli di testa (tradotti appositamente dall'originale), dei dialoghi e di alcuni brani della sceneggiatura originale; ringraziamo per questo Tsuchida Tamaki, Ninomiya Deisuke e Takada Kazufumi. Ringraziamo inoltre: la Biblioteca dell'Istituto Giapponese di Cultura di Roma, che cortesemente ci ha messo a disposizione ciò che poteva aiutarci a capire meglio l'universo del teatro kabuki; la Kinugasa Teinosuke Collection del National Film Center di Tōkyō per la riproduzione delle pagine della sceneggiatura di lavorazione; CineMetrics, e in particolare Gunars Civjans, che ha ricalcolato a 24 f/s i nostri 25 f/s; Emanuele Cosentino — segnalatoci da Amedeo Fago — per la planimetria di casa Onoe; David Bordwell, Donald Kirihara, Mark Le Fanu, Dario Tomasi, per l'autorizzazione a riprodurre in bibliografia i loro testi.