Stilometria

La stilometria (o calcolo dello stile) altro non è che una procedura analitica, ormai ben diffusa in campo letterario e musicale, che mira a identificare, misurare e confrontare i tratti caratteristici di quello che, non senza una certa vaghezza, è generalmente definito come stile. Una volta superato il pregiudizio del testo artistico come prodotto unitario non altrimenti scomponibile, ci si propone in pratica di smontarlo per meglio comprendere come esso concretamente funzioni e, in particolare, per afferrare quali tratti costitutivi distinguano un'opera e il suo autore da altre opere e da altri autori. Niente di particolarmente innovativo rispetto alla critica formalista o semiotica "classica", se non per l'impianto propriamente scientifico-matematico che, basandosi su risultati statistici, dovrebbe di massima conferire un certo carattere di oggettività alle nuove analisi, allontanando il rischio del puro impressionismo. Alla fase propriamente interpretativa si premette infatti una fase analitica che comprende, oltre all'analisi "tradizionale", la rappresentazione statistica di questi primissimi risultati, che, elaborati in forma numerica e quindi comparabile, aprono tutta una serie di nuove prospettive critiche, perché permettono un'agile e puntuale comparazione fra testi, autori o anche brani del medesimo testo o del medesimo autore. Tutto questo, naturalmente, rispettando alcune premesse metodologiche di base.
Intanto, è almeno necessario concordare, com'è ovvio, su un'idea di stile, da identificarsi, ecumenicamente, come il peculiare utilizzo che un autore (cioè un testo) o un gruppo di autori (cioè un gruppo di testi) fanno di determinati strumenti espressivi di uso comune. I metodi quantitativi e statistici, che in letteratura sono stati un inevitabile corollario dell'evoluzione della linguistica, sono infatti sorti sulla «constatazione che nella lingua operano diverse leggi in base alle quali la trasmissione dell'informazione avviene secondo alcuni principi basilari» [1]. Il calcolo dello stile, quindi, si fonda su una preliminare selezione dei principi comunicativi che riteniamo espressivamente rilevanti e che possono essere matematicamente misurabili: in letteratura, per esempio, si considerano di solito caratterizzanti la lunghezza delle parole, delle proposizioni o dei periodi, la distribuzione della punteggiatura o la frequenza di determinate parole e registri. Come è facile notare, si tratta di caratteristiche da sempre considerate peculiari di ogni singolo scrittore, solo che nell'individuare queste (e nello scartarne altre) è stato introdotto il criterio del matematicamente misurabile, che permette appunto in un secondo momento il calcolo dello stile. «Lo studioso che possedesse concordanze, indici e frequenze dell'opera di un certo autore potrebbe sicuramente [...] avventurarsi nell'analisi dello stile di quel certo autore giungendo a mettere in evidenza una serie di costanti macroscopiche che, secondo alcuni, rendono possibile addirittura l'attribuzione di un'opera pervenutaci anonima a un determinato autore» [2]. Non è qui possibile, dato il fine strettamente propedeutico che ci proponiamo, approfondire le varie metodologie di analisi letteraria, ma basti ricordare ad esempio che «su questa scia è stata messa a punto una serie i strumenti che, prendendo in considerazione la lunghezza di frasi e parole, la presenza di coordinate e/o subordinate e di tutti quegli aspetti della lingua che portano a una complicazione del processo di lettura, tende a misurare l'indice di leggibilità di un determinato testo» [3].

Il discorso si complica, purtroppo, se ci spostiamo al cinema. La prima proposta organica di analisi statistica cinematografica è stata pubblicamente avanzata nell'ormai lontano 1974 da Barry Salt, nei saggi Let a Hundred Flowers Bloom: Film Form, Style, and Aesthetics («Sight and Sound», primavera 1974, pp. 108-109; poi in Barry Salt, Moving Into Pictures. More on Film History, Style, and Analysis, Starword, London, 2006, pp. 20-22) e Statistical Style Analysis of Motion Pictures («Film Quarterly», autunno 1974), ma da allora ben pochi passi sono stati compiuti in questa direzione: da un lato perché tale approccio è stato da subito osteggiato dalla critica accademica, ma anche (e soprattutto) per gli oggettivi limiti tecnici che sino a ieri hanno afflitto tutta la saggistica cinematografica. Nonostante l'introduzione del video, che ha reso agevole la consultazione di film del passato, è stato infatti necessario attendere la rivoluzione del DVD (e successori) per poter finalmente assistere ai primi adeguati tentativi di calcolo dello stile: la trasposizione digitale del testo, giacché discreta, si sta rivelando la sede ideale per qualsiasi smontaggio analitico del film.
Naturalmente, gli ostacoli cui si è accennato hanno fatto sì che le procedure di analisi filmica restino tutto sommato abbastanza elementari, con scarsi progressi rispetto alle prime proposte del 1974. Non esistendo ancora ulteriori modelli accettati o tools informatici di ricerca, l'unico sistema universalmente riconosciuto resta per il momento quello pionieristico proposto da Salt, anche in virtù del fatto che lo studioso, in questi quaranta anni, ha accumulato uno sterminato database di analisi filmiche, che possono essere un'utile pietra di paragone laddove si rispettino le sue premesse metodologiche. Siamo ancora lontani, comunque, dalle raffinatezze sviluppate in campo letterario, anche perché, com'è inevitabile, le strategie elaborate per altre discipline non sempre sono riproponibili per il cinema (che, fra l'altro, si distingue da altre arti per la mancanza di un vocabolario "finito").
Da Barry Salt, quindi, è obbligatorio partire. «L'idea basilare dietro i miei metodi di analisi statistica è che lo stile cinematografico cambia notevolmente da film a film, e che le variabili usate per studiarlo dovrebbero essere basate sui concetti che i cineasti effettivamente usano» [4]: esattamente lo stesso assunto da cui sono nate le ricerche in campo letterario e musicale, cui Salt direttamente si richiama. Il primo problema, allora, consiste anche qui nel definire le variabili da prendere in considerazione come stilisticamente rilevanti, e Salt risolve come segue:

1. Durata delle inquadrature
2. Tipologia delle inquadrature
3. Tipologia dei movimenti di macchina
4. Controcampi
5. Soggettive
6. Inserti

Si potrebbero fare mille obiezioni e precisazioni, ma, com'è evidente, si tratta innanzitutto di variabili misurabili senza troppe difficoltà, che vengono poi rese facilmente comparabili da film a film calcolando la durata media delle inquadrature (average shot length, ASL) e "normalizzando" invece gli altri risultati, cioè calcolando quale sarebbe la frequenza di ogni inquadratura/movimento/raccordo se il film fosse ipoteticamente composto di 500 inquadrature (un'alternativa, abbastanza ovvia ma un po' meno precisa, è quella di esprimere il tutto in percentuale, indicando, ad esempio, che il 22% delle inquadrature di un dato film è costituito da primi piani).
Il secondo problema, anch'esso comune a tutte le discipline statistiche, è che il risultato di questa procedura, a prima vista, altro non è che un semplice elenco di numeri.



Tipologia Normalizzate %
Big Close Ups 16 3
Close Ups 50 10
Medium Close Ups 71 14
Medium Shots 116 23
Medium Long Shots 116 23
Long Shots 108 22
Very Long Shots 24 5
Max Ophüls, Letter From an Unknown Woman (Lettera da una sconosciuta, 1948).
Per la scala dei piani adottata si rimanda all'approfondimento. Fonte: Barry Salt, Film Style and Technology: History and Analysis, Starword, London, 1992 (2a edizione), p. 309.

Prese singolarmente, queste aride cifre in effetti non sono particolarmente significative, giacché poco ci dicono sulle scelte di un regista rispetto a quelle di un altro. Confrontando però, ad esempio, la distribuzione dei piani del film con quella di un melodramma tradizionale del medesimo decennio, Back Street (Gli amanti, 1941, di Robert Stevenson), emerge con estrema chiarezza il diverso uso che Ophüls fa delle riprese a distanza, limitando per quanto possibile i piani più ravvicinati. Da questo tratto, sicuramente caratteristico, diventa poi possibile ricostruire l'universo poetico sotteso al film (come pure, più banalmente, spiegarne l'insuccesso commerciale): da qui in poi, non c'è tabella che tenga, è soltanto una questione di sensibilità, creatività e fantasia del critico/spettatore.



Tipologia Normalizzate %
Big Close Ups 42 8
Close Ups 124 25
Medium Close Ups 99 20
Medium Shots 89 18
Medium Long Shots 69 14
Long Shots 59 12
Very Long Shots 19 4
Robert Stevenson, Back Street (Gli amanti, 1941).
Fonte: Barry Salt, Film Style and Technology: History and Analysis, cit., p. 309.

Il più immediato utilizzo dei valori così ottenuti, quindi, ci permette già di cogliere quello scarto rispetto alla "maniera" che costituisce, come premesso, l'essenza stessa di uno stile personale. Inoltre, e questo è importante sottolinearlo, basandosi su caratteristiche comuni a tutti i film al mondo (scala dei piani, montaggio, movimenti), questo lavoro di calcolo dello stile non si concentra tanto su caratteri macroscopici facilmente rilevabili anche "a occhio" (jump cut, inquadrature interminabili e, più in generale, tutti quegli stilemi che "infrangono" qualcosa), quanto piuttosto sull'uso particolare che si fa di procedure apparentemente standard (si vedano, ad esempio, le considerazioni di Christopher Wagstaff sui controcampi di Roma città aperta [5]).
Ci troviamo insomma già così davanti a una minuscola rivoluzione, che ci costringerebbe a riscrivere buona parte della storiografia cinematografica, molto spesso basata, come Salt da sempre lamenta, su osservazioni vaghe e infondate del tipo «Muriel contiene il doppio delle inquadrature di un film medio» o «Fritz Lang, come Jean Renoir, mette nei suoi film l'accento sul campo lungo» [6]. Affermazioni del genere sono destinate a scomparire se non supportate dalle relative misurazioni, perché le nuove analisi non soltanto metteranno il lettore in grado di partecipare in prima persona al processo interpretativo (facendogli ripercorrere e verificare, passo per passo, il processo esegetico), ma, quel che più conta, costituiranno anche una base di partenza per successive riletture dell'opera, una sorta di conoscenza acquisita e immutabile sul film (il che non si può certo dire della stragrande maggioranza degli studi critici attuali).
Le possibilità di questa tecnica, però, sono ancora più sottili e ci permettono, con un po' di pratica, di scendere più a fondo nell'analisi specifica della singola opera, correlando le sottili differenze che esistono fra una sequenza e l'altra. Una volta ottenute infatti la durata media delle inquadrature e la frequenza di ciascun movimento di macchina e di ciascun tipo di inquadratura, possiamo ipotizzare quante e quali inquadrature dovrebbero statisticamente comporre ciascuna sequenza del film.

scena BCU CU MCU MS MLS LS VLS TOT
EFF STAT EFF STAT EFF STAT EFF STAT EFF STAT EFF STAT EFF STAT EFF STAT
1 3 0 0 0 0 1 3 2 0 2 2 2 1 1 9 8
2 1 0 0 0 3 1 5 2 6 2 9 2 5 1 29 8
3 0 0 1 0 0 1 6 2 3 2 3 2 0 1 13 8
4 0 0 1 0 0 1 3 2 2 2 0 2 0 1 6 8
5 0 0 0 0 3 1 6 2 7 2 4 2 1 1 21 8
6 0 0 0 0 0 1 1 2 3 2 0 2 1 1 5 8
7 0 0 0 0 0 1 1 2 0 2 1 2 0 1 2 8
8 0 0 0 0 0 1 4 2 0 2 1 2 0 1 5 8
Max Ophüls, Liebelei (Amanti folli, 1932)
I valori in nero (STAT) sono quelli che, statisticamente, dovrebbero presentarsi per ogni campione di 2' 13" di film. I valori in rosso (EFF) sono quelli invece effettivamente rilevabili analizzando ciascun campione. Appare così evidente, fra l'altro, che nell'introdurre l'azione e i personaggi Ophüls ricorre a un montaggio molto più veloce della media, valorizzando anche in tutta libertà i due estremi della scala dei piani (campi lunghi, campi lunghissimi e primissimi piani). Fonte: Barry Salt, Film Style and Technology: History and Analysis, cit., p. 303.

Le discordanze fra il valore medio per ogni sequenza e il suo valore effettivo costituiscono quelle che Salt chiama variazioni espressive: se il film in un dato momento accelera il ritmo, accorcia le distanze coi personaggi o blocca la macchina da presa, evidentemente ciò accade per una sua intima necessità espressiva. Anche qui, com'è evidente, non si scopre niente di nuovo, ma sarebbe abbastanza azzardato stabilire "a occhio" se, ad esempio, il ricorso al primo piano o alla panoramica aumenta, in Liebelei, parallelamente all'evolversi del rapporto fra i due amanti (soprattutto perché, senza avere un valore medio di riferimento, si rischierebbe immancabilmente di affidarsi al proprio intuito).

Quel che bisogna comprendere, comunque, è che questo tipo di analisi non sconfessa l'impressione personale dello spettatore, o almeno non la sconfessa a priori. Per fare un esempio, si può citare la comparazione che Salt propone di due adattamenti di The Front Page, firmati rispettivamente Lewis Milestone (1931) e Howard Hawks (His Girl Friday, La signora del venerdì, 1940) [7]. In questo caso Salt non trascura e anzi sfrutta un'impressione "personale" (sua e di Andrew Sarris), riconoscendo a Hawks un maggiore dinamismo della messa in scena, ma mette alla prova questa osservazione confrontandola con i dati statistici sul montaggio e sui movimenti di macchina. Così, a differenza di quanto sostenuto da Sarris, ci si accorge che di fatto i film sotto questi due punti di vista sono abbastanza simili: questo non invalida l'intuizione iniziale, ma semplicemente suggerisce di rintracciare altrove le cause del diverso dinamismo, cogliendo così più propriamente la reale peculiarità del film di Hawks (che Salt identifica piuttosto nel tipo di recitazione).
I dati statistici, com'è chiaro, vanno quindi sempre considerati con una forte dose di buon senso e di disponibilità a percorrere strade alternative, giacché, abbracciando soltanto la sfera del matematicamente misurabile, la stilometria non è in grado di fornirci una rappresentazione organica di tutte le variabili espressive di un film. Ma anche così non c'è dubbio che questo approccio "scientifico", combinato con le nuove possibilità dell'informatica, offra interessanti possibilità a chi voglia ridiscutere, verificare e magari reinventare il modo in cui, fino a oggi, si è studiato e scritto di cinema. Tutto questo sempre tenendo a mente, se possibile, l'avvertimento che Salt premette alla sua analisi di Max Ophüls: «A questo punto devo ripetere un'ennesima volta che l'oggettività non è una quantità assoluta, ma qualcosa che si può avere in misura maggiore o minore, e quando si affrontano oggetti di estrema complessità come le arti non ha alcun senso pretenderla al di là del ragionevole. Dal momento che pochi hanno intrapreso questa ricerca, è già qualcosa averla iniziata» [8].



Note
1. Giuseppe Gigliozzi, Introduzione all'uso del computer negli studi letterari, a cura di Fabio Ciotti, Bruno Mondadori, Milano, 2003, p. 104.
2. Ivi, pp. 104-105.
3. Ivi, p. 105.
4. Barry Salt, Statistical Style Analysis, CineMetrics.
5. Christopher Wagstaff, Italian Neorealist Cinema: An Aesthetic Approach, University of Toronto, Toronto-Buffalo-London, 2007, p. 110.
6. Barry Salt, Film Style and Technology: History and Analysis, cit., p. 142.
7. Ivi, p. 224.
8. Ivi, p. 297.